Premessa
Il legato testamentario in favore di un Comune presenta peculiarità significative, poiché alla complessa disciplina delle successioni si somma la normativa speciale sugli enti pubblici. Nella prima parte di questo approfondimento si è visto, ad esempio, che un legato si perfeziona senza bisogno di accettazione (salvo il diritto di rinuncia ex art. 649 c.c.), diversamente dall’eredità che richiede l’atto formale. In questa seconda parte si affrontano aspetti specifici legati ai beni lasciati a un Comune: il legato di partecipazioni societarie; il legato di beni immobili (e le problematiche in presenza di oneri reali come ipoteche); la natura pubblica o disponibile del bene ricevuto; la questione di eventuali vincoli di destinazione imposti dal testatore e della loro modifica se divenuti irrealizzabili; infine un richiamo a giurisprudenza e considerazioni conclusive.
Legato di partecipazioni sociali a favore del Comune
Il lascito di quote societarie a un Comune pone anzitutto il tema della compatibilità con i vincoli di legge sulle partecipazioni pubbliche. Infatti, in base all’art. 3, comma 1 del D.Lgs. 19 agosto 2016 n. 175 (Testo Unico delle società a partecipazione pubblica), gli enti pubblici possono essere soci soltanto di società di capitali (S.p.A., S.r.l., anche consortili o cooperative). Quindi, se un testatore legasse al Comune partecipazioni in una società di persone o altra struttura non consentita, l’ente non potrebbe legalmente acquisirle (dovrebbe rinunciare al legato o concordare la liquidazione di quelle quote).
Anche per le partecipazioni ammissibili, il Comune deve osservare una procedura rigorosa prima di accettare e mantenere la quota. L’art. 5 del TUSP (D.Lgs. 175/2016) impone infatti un controllo preventivo: l’ente deve adottare una deliberazione motivata sull’acquisizione e trasmetterla all’Autorità Antitrust e alla Corte dei conti. Questi organi verificano che la partecipazione societaria sia necessaria per le finalità istituzionali del Comune e sostenibile finanziariamente, e che non violi principi di efficienza né la normativa UE sugli aiuti di Stato. In sostanza, il Comune beneficiario deve dimostrare che la società rientra nei propri scopi pubblici (ad es. gestione di un servizio locale) e che accettare la quota non comporta sprechi o squilibri economici. Solo se la verifica dà esito positivo (o se decorrono 60 giorni senza rilievi della Corte dei conti) il Comune può perfezionare l’acquisizione. Viceversa, un parere negativo blocca automaticamente l’operazione (art. 5, co. 4 TUSP). Inoltre, se l’ente procedesse comunque senza attendere il controllo, l’atto di acquisto sarebbe inefficace per legge (art. 8, co. 2 TUSP) e la partecipazione non entrerebbe validamente nel patrimonio comunale.
È utile ricordare che è stata abrogata la vecchia norma (art. 17 c.c.) che imponeva agli enti di ottenere un’autorizzazione governativa per accettare eredità o legati. Ciò semplifica il quadro, ma non elimina la necessità di un atto deliberativo interno: anche se per il Codice civile il legato si acquista senza accettazione formale, il Comune dovrà comunque deliberare di “prendere atto” del legato di partecipazioni e avviare la procedura di controllo. In mancanza di tale delibera, oltre all’inefficacia giuridica dell’acquisto, i rappresentanti dell’ente potrebbero incorrere in responsabilità per aver agito al di fuori delle regole di contabilità pubblica.
Da ultimo, va osservato che l’ente beneficiario dovrà inserire la nuova quota societaria nel piano di razionalizzazione delle proprie partecipazioni (obbligo annuale ex art. 20 TUSP). Se la partecipazione ricevuta non è strettamente funzionale ai servizi pubblici, il Comune potrebbe deciderne la dismissione in futuro. Pertanto, il Comune valuterà in sede di accettazione anche l’effettiva utilità strategica del legato: in alcuni casi, rinunciare subito a una partecipazione “non coerente” con le finalità istituzionali è preferibile piuttosto che acquisirla per poi doverla alienare.
Legato di beni immobili: limiti, oneri e ipoteche
Nel caso di un immobile lasciato al Comune, si pongono altri ordini di problemi. Anzitutto, vi è da chiedersi se un ente locale possa accettare liberamente beni immobili in donazione o per testamento. La risposta oggi è positiva: non esistono divieti generali, essendo stato eliminato dal 2014 l’obbligo di dichiarare l’indispensabilità dell’acquisto e di ottenerne la congruità economica dal Demanio. Quindi un Comune può acquisire immobili a titolo gratuito senza autorizzazioni esterne. Questo però non lo esonera da un’analisi attenta dell’operazione: come ha evidenziato la Corte dei conti, anche un bene gratuito comporta costi e responsabilità a carico dell’ente (manutenzioni, messa a norma, custodia, rischi di deterioramento, ecc.). Pertanto l’ente dovrà compiere una istruttoria previa, stimando l’utilità pubblica del bene e verificando la presenza di oneri. Ogni decisione di accettazione andrà motivata, dando conto del rispetto dei principi di buon andamento e sostenibilità finanziaria (art. 97 Cost.). È anche ribadito per legge che la natura gratuita non basta a giustificare l’acquisizione: occorre comunque un interesse pubblico concreto (art. 8, co. 3, D.Lgs. 36/2023).
Un secondo profilo critico riguarda i pesi e vincoli eventualmente gravanti sull’immobile legato, in particolare le ipoteche. Per regola generale, il legatario subentra nei pesi inerenti al bene (art. 668 c.c.), come servitù e oneri reali, e deve adempiere agli eventuali oneri imposti dal testatore nei limiti del valore del bene (art. 671 c.c.). Ciò significa che, ad esempio, se l’immobile è sottoposto a servitù di passaggio, il Comune lo riceverà con tale servitù; se il testatore ha previsto un obbligo di destinazione (modus), l’ente dovrà rispettarlo, salvo il limite di valore.
Se sull’immobile grava un’ipoteca iscritta in vita dal defunto, il Comune va incontro a una situazione delicata. L’ipoteca, infatti, conferisce al creditore garantito il diritto di espropriare il bene anche nelle mani del nuovo proprietario (diritto di seguito): dunque il creditore potrebbe pignorare l’immobile dal Comune se il debito garantito non viene pagato. La legge offre al terzo acquirente (il Comune, che non è debitore principale) alcune opzioni per evitare l’esecuzione forzata (art. 2858 c.c.). In sintesi, l’ente può: pagare il creditore estinguendo il debito residuo e liberando il bene; oppure rinunciare al bene ipotecato a favore del creditore (rilascio); oppure attivare la procedura di purgazione dell’ipoteca prevista dal codice civile. Quest’ultima consiste nel mettere all’asta il bene offrendo al creditore il ricavato: se l’asta va deserta, l’ente lo conserva libero da ipoteche; se viene venduto, il creditore è soddisfatto e l’ente incassa l’eventuale eccedenza. Sono tutte soluzioni non ideali (pagare comporta un esborso, rinunciare fa perdere il bene, la purgazione può portare alla vendita all’asta), per cui va ribadito che la presenza di un’ipoteca è un elemento di rischio da ponderare attentamente. La magistratura contabile ha sottolineato che, qualora un bene ipotecato destinato a finalità pubblica venisse espropriato dal creditore, si vanificherebbe la ragione stessa per cui il Comune lo aveva accettato. Il Comune, se costretto a pagare i creditori per non perdere l’immobile, potrà poi esercitare il regresso sugli eredi del debitore (art. 2866 c.c.), ma intanto subirebbe un danno. Inoltre, il legatario-Comune non è tenuto a pagare i debiti ereditari in genere (art. 756 c.c.), ma ciò non impedisce l’azione ipotecaria sul bene ricevuto.
In definitiva, davanti a un immobile gravato da ipoteca il Comune dovrà valutare se accettare il legato solo se può contemperare quel vincolo (ad esempio disponendo dei fondi per estinguere almeno in parte l’ipoteca), oppure se sia più prudente rinunciare. In ogni caso, qualora decida di accettare, converrà contestualmente adottare una delibera che destini l’immobile a finalità pubbliche specifiche (si veda oltre) e attivarsi subito per trattare con il creditore, anziché subire passivamente un pignoramento.
Natura pubblica o privata del bene ricevuto
Un aspetto peculiare dei beni lasciati a un Comune è la loro classificazione nel patrimonio dell’ente: demanio, patrimonio indisponibile o disponibile. Questa natura influenza la pignorabilità e la circolazione del bene. In generale, se il bene è destinato a pubblico servizio o rientra tra quelli indicati dalla legge come demaniali, esso diventa inalienabile e non aggredibile dai creditori.
Il demanio pubblico comprende beni di uso o interesse pubblico generale indicati dalla legge (art. 822 c.c. e leggi speciali). Ad esempio, rientrano nel demanio necessario dello Stato fiumi, spiagge, strade, mentre i Comuni possono avere un demanio proprio per beni come le strade comunali, i mercati, i cimiteri e – se di interesse storico/artistico – anche determinati immobili culturali. Un bene demaniale è fuori commercio: non può essere venduto né usucapito, e su di esso non possono costituirsi ipoteche (art. 2810 c.c.). Per esempio, se il legato consiste in un edificio di importante interesse storico-artistico, esso apparterrà al demanio culturale comunale (art. 53 D.Lgs. 42/2004). La Cassazione ha chiarito di recente che basta la presenza oggettiva di un rilevante interesse storico-artistico perché un bene pubblico sia considerato demaniale, senza necessità di un formale provvedimento amministrativo di vincolo. Ciò significa che, nel caso di beni culturali, il Comune li acquisisce già con lo status di beni inalienabili e non pignorabili. Ad esempio, la Cassazione (Sez. II, ord. 17 ottobre 2023 n. 28792) ha confermato che un immobile storico di proprietà pubblica è demaniale ipso iure in virtù del suo valore culturale.
Il patrimonio indisponibile, disciplinato dall’art. 826 c.c., comprende invece i beni di un ente pubblico che, pur non essendo demaniali per natura o per legge, sono destinati a un pubblico servizio o a pubblica utilità. Esempi classici sono gli edifici adibiti a sede di uffici comunali, le case popolari, i parchi e giardini pubblici, gli arredi e attrezzature per servizi pubblici. Finché dura la loro destinazione pubblica, questi beni non possono essere alienati né distolti dal fine pubblico (art. 828 c.c.) e la loro impignorabilità è desunta in via interpretativa proprio dal divieto di distoglierli dal servizio. È però necessario che la volontà di destinare il bene a uso pubblico risulti da un atto dell’amministrazione (ad esempio una delibera): anche la giurisprudenza richiede infatti un atto di volontà formale che assegni il bene a una specifica finalità pubblica. Nel contesto di un legato, quindi, il Comune può con un’unica deliberazione accettare il bene e destinarlo contestualmente a un servizio pubblico, facendolo entrare così nel proprio patrimonio indisponibile. Ciò offre una tutela ulteriore, poiché il bene non potrà essere venduto né espropriato per debiti finché rimane tale destinazione.
Infine, se il bene ricevuto non rientra nei casi sopra descritti, esso va nel patrimonio disponibile del Comune, e si comporta come un bene qualsiasi di proprietà dell’ente: il Comune può liberamente alienarlo o gravarlo di diritti a favore di terzi, e in teoria il bene potrebbe essere pignorato da creditori (salvo eventualmente trasformarlo in indisponibile con successivo atto se l’ente decide di adibirlo a pubblica utilità).
Una nota particolare riguarda il rapporto tra vincoli pubblicistici e ipoteche già presenti sul bene. Ci si potrebbe chiedere se, destinando il bene a finalità pubbliche (demaniali o indisponibili), l’ipoteca si “estingua” perché il bene diventa impignorabile. In passato alcune sentenze (risalenti) della Cassazione avevano sostenuto che l’imposizione di un vincolo pubblico su un bene equivale a farlo uscire dal commercio, realizzando un “perimento giuridico” che fa venir meno l’ipoteca per mancanza dell’oggetto (richiamando l’art. 2878 n. 4 c.c.). Tuttavia si tratta di un orientamento minoritario e oggi riconsiderato criticamente. La soluzione prevalente è che il vincolo di destinazione pubblica non cancella l’ipoteca preesistente: il creditore conserva la sua garanzia, sebbene l’esecuzione forzata su beni pubblici debba fare i conti con la tutela del servizio. La questione è complessa e oggetto di attenzione anche della Corte costituzionale, ma per prudenza il Comune non può presumere di neutralizzare i diritti dei creditori semplicemente classificando il bene come indisponibile. È stata però affermata un importante principio: la destinazione a finalità pubbliche non è illecita neppure se sul bene gravano ipoteche (Cass. Sez. III, 21 giugno 2011 n. 13585), cioè la presenza di diritti di garanzia di terzi non impedisce all’ente di vincolare il bene al pubblico servizio. In pratica, il Comune potrà destinare l’immobile a uso pubblico per ragioni di interesse generale, ma rimarrà esposto alle pretese del creditore ipotecario salvo trovare un accordo o estinguere il debito.
Vincoli di destinazione imposti dal testatore e impossibilità sopravvenuta
Spesso i testatori inseriscono nel legato a favore del Comune un vincolo di destinazione: ad esempio, l’obbligo di utilizzare l’immobile o la somma lasciata per uno scopo specifico (educativo, assistenziale, religioso, ecc.). Tali oneri (modus) non impediscono al Comune di acquisire il bene, ma lo obbligano legalmente a rispettarne la finalità indicata. Se il Comune non adempie al modus, i soggetti interessati (eredi o anche il Prefetto, trattandosi di finalità di pubblica utilità) potrebbero sollecitare l’adempimento coattivo o in casi estremi la risoluzione del legato per inadempimento dell’onere, analogamente a quanto avviene per le donazioni modali (art. 793 c.c.).
Il problema si pone quando la destinazione voluta dal testatore diventa impraticabile o eccessivamente difficile da attuare. Se, ad esempio, il bene legato doveva essere utilizzato per istituire un museo, ma emergono ostacoli insormontabili (mancanza di fondi, inidoneità dei locali, ecc.), il Comune si trova in una situazione di impossibilità sopravvenuta di adempiere all’onere. In tali casi, la soluzione va trovata nel principio generale secondo cui ad impossibilia nemo tenetur: il Comune potrà essere esonerato dall’obbligo impossibile. È comunque opportuno che l’ente persegua la finalità originaria fin dove possibile o, se ciò non riesce, che la ricalibri verso un fine analogo. Ad esempio, se non è realizzabile un museo, l’immobile potrà essere destinato ad altro uso culturale o pubblico compatibile con lo spirito del lascito (come una biblioteca o centro civico). Idealmente, il Comune potrebbe rivolgersi all’autorità giudiziaria (giudice competente in materia di volontaria giurisdizione) per ottenere l’autorizzazione a modificare la destinazione, assicurando così una copertura legale alla variazione e coinvolgendo eventualmente gli eredi in un accordo.
In sintesi, il Comune deve fare quanto ragionevolmente possibile per rispettare la volontà testamentaria, ma se questa non può essere attuata per cause non imputabili all’ente, potrà modificarla con prudenza e trasparenza, scegliendo un uso del bene che mantenga il più possibile la finalità pubblica voluta dal testatore. L’importante è evitare che il bene cada in disuso o che il lascito perda efficacia: meglio un impiego diverso ma utile alla collettività, che lasciare lettera morta le volontà originarie. Ogni passaggio andrebbe comunque motivato in un atto formale (delibera) che dia conto delle ragioni del cambio di destinazione, per tutelare l’ente da contestazioni.
Conclusioni
Dall’analisi emerge che un lascito a favore di un Comune può comportare rischi e oneri non immediatamente evidenti. L’ente locale beneficiario deve valutare con attenzione costi e benefici: un immobile può implicare spese di manutenzione o problemi legali; una partecipazione societaria può essere fuori dal proprio ambito operativo o generare perdite; un lascito con vincolo può richiedere impegni (es. gestione di un servizio) di lungo periodo. In ogni caso è fondamentale non farsi guidare solo dall’idea del “dono”, ma svolgere tutte le verifiche del caso.
È qui che si evidenzia l’importanza di affidarsi a professionisti legali esperti in successioni e normativa pubblica. Un avvocato specializzato può assistere il testatore nel predisporre un testamento chiaro e coerente, evitando di imporre oneri irrealistici al Comune beneficiario. Allo stesso modo, può affiancare il Comune nella fase di esame del legato: controllo di eventuali passività, interpretazione corretta delle disposizioni testamentarie, conformità alle leggi (come quelle sulle partecipazioni pubbliche), predisposizione degli atti di accettazione e destinazione e interfaccia con organi di controllo.
Non va dimenticato che una scelta errata in questo ambito può esporre gli amministratori pubblici a responsabilità erariale o a contenziosi con gli eredi o con i creditori. Al contrario, gestire in modo accorto un lascito può portare benefici notevoli alla comunità (nuovi servizi, tutela di beni storici, risorse economiche per scopi sociale). Perciò, il messaggio conclusivo è duplice: da un lato, i privati cittadini che intendono lasciare propri beni al Comune dovrebbero pianificare la successione con l’ausilio di un legale, per garantire che la loro volontà sia realizzabile; dall’altro, i Comuni beneficiari dovrebbero sempre farsi assistere da esperti nella fase di valutazione e attuazione del legato. Così facendo, il legato a favore del Comune si concretizza come un atto di generosità efficace e privo di conseguenze indesiderate, a vantaggio sia della volontà del testatore sia dell’interesse pubblico.
Giurisprudenza
La giurisprudenza ha fornito importanti orientamenti su molti dei profili esaminati. In tema di partecipazioni societarie la Corte dei conti (Sezioni Riunite in controllo) con deliberazione n. 23 del 28 novembre 2022 ha ribadito che l’acquisizione di quote da parte di un Comune deve essere sorretta da un’analitica motivazione e che, in mancanza del parere preventivo, l’operazione è inefficace.
Con riferimento al legato di immobili gravati da ipoteca, significativa è la pronuncia della Corte dei conti, Sezione di controllo per il Piemonte, n. 90 del 22 marzo 2023, che ha evidenziato i rischi per l’ente acquirente nel ritrovarsi terzo proprietario di un bene ipotecato, ricordando le opzioni offerte dal codice civile (pagamento del debito, rilascio del bene o purgazione) e invitando a valutare attentamente la convenienza dell’acquisizione alla luce di tali vincoli.
La Corte di Cassazione ha affrontato la questione della natura demaniale dei beni culturali con varie pronunce. Recentemente (Cass. Civ., Sez. II, 17 ottobre 2023, n. 28792) ha statuito che un immobile di interesse storico-artistico appartenente a un ente pubblico rientra nel demanio pubblico per il solo fatto del suo valore culturale, risultando inalienabile e non usucapibile. Questo orientamento era già stato affermato in precedenza. La Cassazione (Sez. II, 23 maggio 2023, n. 14105) ha confermato che un immobile di proprietà comunale dichiarato di interesse archeologico è soggetto al regime di demanio pubblico, con tutte le relative conseguenze di legge.
In tema di vincoli di destinazione e diritti dei terzi, merita citare la sentenza Cass. Civ., Sez. III, 21 giugno 2011, n. 13585, in cui la Suprema Corte ha affermato che la destinazione a finalità pubbliche di un bene non è contra legem neppure se su di esso gravano diritti reali di garanzia, nel senso che la presenza di un’ipoteca non impedisce di vincolare il bene al pubblico servizio. Infine, una pronuncia più risalente (Cass. Civ., Sez. I, 29 maggio 1976, n. 1946) sostenne l’estinzione dell’ipoteca in caso di sopravvenuta destinazione pubblica del bene: un orientamento oggi superato e oggetto di ripensamento critico.
*Coautore: dott. Francesco Romeo